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uscire dalla trappola: il silenzio che uccide - di S.Giannotti

 

venerdì 11 aprile 2014:

Questa parola è ormai entrata a far parte del nostro quotidiano e la frequenza sempre più alta di casi ha portato all’esigenza di un intervento specifico sia sotto il punto di vista legale che psicologico.

Oggi infatti basta aprire un qualsiasi quotidiano o ascoltare un telegiornale per apprendere la notizia dell’ennesimo caso di violenza. 

La parola stalking deriva dal verbo inglese to stalk e viene tradotta in italiano con “perseguitare”. All’inizio lo stalker può sembrare gentile ma con il tempo i suoi comportamenti risultano ossessivi e portano al sequestro psicologico della vittima.

Sono molti gli aspetti che possono essere analizzati rispetto a questo fenomeno, le varie tipologie di stalker, le modalità con le quali opprime la sua vittima, la sua consapevolezza rispetto al problema, gli aspetti giuridici ma ciò che mi preme in questa sede è parlare delle vittime.

La persona che si trova al centro di queste “particolari attenzioni” tende a negare il problema o a minimizzarlo. Questo in genere accade perché nessuno vuole considerarsi una vittima, nessuno vuole ammettere di essere in pericolo, perché spesso scatta la paura di ritorsioni o peggio ancora per vergogna o timore dei pregiudizi.

Nella maggior parte dei casi la vittima aspetta, si convince che è solo questione di tempo e che il suo persecutore smetterà di assillarla. Purtroppo la gravità della situazione emerge quando è troppo tardi e non solo perché c’è la possibilità di giungere a casi estremi (la cronaca ne è piena) ma perché nel frattempo la vittima avrà strutturato tutta una serie di problematiche personali. 

Una delle trappole in cui cadono frequentemente gli stalkizzati è quella di cercare di spiegare e far capire, spesso con modi gentili, al proprio persecutore che non deve insistere. Queste spiegazioni ovviamente non ottengono l’effetto sperato.  La vittima deve sempre tenere presente che dall’altra parte c’è una persona totalmente in balia di un’ossessione che distorce il suo modo di percepire e interpretare la realtà, pertanto ogni spiegazione così come ogni regalo restituito o anche una scenata di rabbia vengono vissute dallo stalker come attenzioni nei suoi confronti. La strategia migliore è nessun tipo di risposta ed evitare i contatti di qualsiasi genere.

Nonostante adesso siano molte le possibilità di farsi aiutare sia dal punto di vista legale che psicologico i casi denunciati alle forze dell’ordine rimangono solo il 20% e le vittime arrivano a richiedere l’aiuto di un professionista solo perché, nella maggior parte dei casi, sviluppano dei disturbi psicologici. Questa infatti è una delle tante possibili conseguenze dello stalking, la vittima non si sente più sicura, vive in un costante stato di ansia e paura che si può trasformare spesso in vero e proprio panico. Così come è frequente lo svilupparsi di disordini alimentari, depressioni e isolamento. Il mio invito è di non aspettare, di non stare in silenzio ma di riconoscere la situazione e di cambiarla prima che questa cambi per sempre la nostra vita.


Che ne pensate? 

Contattatemi per esprimere la vostra opinione sulla mia pagina face book oppure tramite mail samantha.giannotti@gmail.com

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