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Arturo Carmassi, la storia di un grande uomo alla soglia dei 90 anni

 

martedì 4 novembre 2014:

Arturo Carmassi, la storia di un grande uomo alla soglia dei 90 anni

Tipi fucecchiesi a cura di Fabrizio Boschi

Sabbia, stracci, filo di ferro, corda, legno, cartone su tela, giornali accartocciati, materie della civiltà rurale, calde e naturali, compongono materialmente le opere di Arturo Carmassi e questi fili, queste corde, questi viluppi di stracci consunti che si avvolgono con le loro spire attorno alle linee di fuga dall'epicentro emozionale dell'opera.

Questo è Carmassi, un artista fuori dagli schemi che conosce il mondo (soprattutto quello dell'arte) con i suoi pregi e i suoi difetti e attraverso il suo estro, il suo innato talento naviga portando il suo pensiero e la sua esperienza alla portata del pubblico che da anni ammira i suoi capolavori.

Carmassi è nato a Lucca, il 2 luglio 1925, Studia all'Accademia Albertina di Torino e in questa città tiene le sue prime esposizioni personali. A 21 anni andò per la prima volta a Parigi in treno con 500 lire in tasca ("nonostante la miseria una volta si viveva con poco"). La Francia era la Mecca degli artisti come oggi lo è New York, la sorgente dell'arte moderna con l'impressionismo e il cubismo, e diventò da allora la sua seconda patria. Dal 1952 si trasferisce a Milano, e vive nell’unico luogo dove si ritrovavano tutti gli artisti di quel periodo, Brera, via del Carmine per l’esattezza (“a casa mia invitavo tutti, artisti, scrittori, poeti, giornalisti, barboni, nobili e puttane) dove gioca un ruolo di primo piano nella pittura informale. Ha poi esposto in tutto il mondo.

Dal 1967 vive alla Torre, località di campagna nel Comune di Fucecchio (Firenze). Qui, in mezzo alle viti e agli olivi, ha creato il suo quartier generale ristrutturando un antico cascinale nel quale continua a creare senza sosta e che ha condiviso fino agli anni Novanta con la sua amata Marise scomparsa prematuramente. Il suo giardino e il suo laboratorio sono delle mostre di per sé, dove si possono ammirare oltre 150 opere di ogni genere che ripercorrono un po' tutta la sua decennale carriera artistica. Questi lavori oppongono sempre alla loro apparente fluidità formale, la rigidità imposta alle fibre dall'uso delle colle. Il lavoro ciclopico di Carmassi risiede proprio in questo piegare le cose ad un racconto formale che sia in grado di far dimenticare le origini degli elementi primi del suo dire. Per recuperarne però, alla fine, il sussurro materico, quell'eco segreto delle cose.

Per Carmassi è molto importante andare oltre l'estetica e la sua irrefrenabile pulsione a utilizzare la materia per penetrare oltre le cose. E' un viaggio lento, ma che procede imperterrito attraverso la paziente tessitura di un dialogo serrato tra segno e superficie.

Carmassi, parlando del suo lavoro, racconta come lo stesso rifletta la sua spiritualità, il senso del vivere e il rischio dell'esistenza stessa. Ci dice che l'artista deve rispecchiare esattamente la storia e la qualità intellettuale del suo tempo, poiché solo a queste condizioni l'opera acquista il valore di documento. "La pittura ha ormai abbandonato il lato esterno dell'uomo, l'avventura è nello spirituale, nell' essere non nell'apparire" - dice.

Nelle sue tele si presenta con insistenza il segno, carico di valenze della croce. Una croce che non identifica il luogo del sacro o quello di un'ipotetica trascendenza, che il credo laico dell'autore non presuppone, ma diventa segno di uno sbarramento semantico che si oppone all'ingresso nell'oltre. La croce è per Carmassi lo nervatura della realtà. L'incrocio, ovvero la croce, è nei sui dipinti la ricerca di un equilibrio dinamico e quindi instabile. Tirare le corde, farle diventare nodi è quasi un tripudio artigiano, il trionfo di una materia insolita tesa a diventare linguaggio pittorico.

Dalla metà del secolo scorso Carmassi esplora incessantemente le possibilità espressive del segno e della creazione raccontando con coraggio il piacere e l'inquietudine del vivere. Tutto questo attraverso l'uso di materiali diversi e la continua elaborazione di tecniche di assemblaggio e di pittura che piegano la materia per farla diventare segno e linguaggio. Ad ogni pezzo corrisponde una nuova tecnica e con puro orgoglio di artista-artigiano Carmassi definisce il suo fare con due semplici parole: "tecnica mista".

L'artista ci mette di fronte a noi stessi, ai nostri limiti e alla nostra capacità di seguire i percorsi di un'arte che si rinnova costantemente e che apre nuove possibilità della pittura all'interno della pittura stessa.

Con queste opere Carmassi ci mostra il livello dei rischi e delle scommesse che si possono sostenere con la forza di un pensiero alto e libero. Perlopiù dipinti, colleges e opere monumentali che racconta con attenzione il nostro tempo. Basta saper ascoltare la sua arte per accorgersene.

Maestro, da che cosa trae ispirazione per le sue opere?

E' un'ovvia reazione alla cultura, alla letteratura e alla musica che mi ha preceduto. In ogni momento della mia vita mi trovo a mettere in discussione me stesso e i confratelli che mi hanno preceduto. Non si può essere indifferenti al trascorrere del tempo per questo ci si rinnova costantemente.

Perché ha deciso di intraprendere la strada dell'arte?

Nel 1925 nascevano uomini in Canada, Cina, Germania, Francia, ecc. Nasceva una nuova generazione di professionisti in ogni campo, testimoni del proprio tempo che hanno lasciato una traccia indelebile. A me è toccato fare l'artista.

Per talento?

Diciamo di sì. Forse è anche una vocazione. Io mi sento un virtuoso.

Se non avesse fatto questo mestiere che cos'altro avrebbe saputo fare?

Non saprei. Ormai non esiste altro per me. Non saprei trasformarmi in un'altra figura di uomo. Mi sono completamente identificato in quello che sono.

Che cosa c'è alla base di un'opera d'arte?

E' il disegno alla base del grande lavoro dell'artista. Non puoi scolpire o dipingere un quadro senza questa base.

Creare è anche fatica fisica?

Ma certo. Specialmente per opere di grandi dimensioni.

Come mai predilige opere così grandi?

Forse è una forma di megalomania. Ne ho di ogni genere, figurative e non. Quasi 500 nella mia casa che è più un laboratorio ormai dove lavoro anche fino alle 3 di notte ogni notte.

Ma lei si sente anche un po' artigiano?

L'artista è un artigiano di altissima qualità. Non si deve fare l'errore di pensare che l'arte sia solo qualcosa di puramente concettuale. E' anche qualcosa di altamente fisico.

Per lei l'arte è anche magia?

Certo, è un qualcosa di divino che detiene la qualità dell'opera. La magia dell'arte sta nel trasformare del materiale inerte in materiale vivo sulla tela che resterà per sempre. La materia va resa viva organizzando il disordine.

Che cos'è quindi per lei l'arte?

Il segno del passaggio degli uomini che appartengono ad una civiltà e che li documenta e li trasforma in linguaggio per coloro che verranno. Quando un'opera d'arte è di qualità elevata è anche una grande lezione pedagogica.

E l'arte moderna?

E' come una bella automobile con una carrozzeria moderna e un vecchissimo motore.

E un artista chi è?

E' la voce più alta del coro che esprime lo spirito del proprio tempo con un'invasione tecnica nuova in un nuovo spazio.

E in un tempo come quello che stiamo vivendo come è possibile?

Io vengo da una generazione che ha provato la guerra. Il mondo è terribile, lo è stato e lo sarà sempre. Gli uomini purtroppo continueranno a sbranarsi fra di loro. In alcuni miei quadri ho cercato di lanciare un messaggio scrivendoci sopra: "Basta con i martiri". E' l'indicazione di una mia posizione etica forte.

Che cosa non le piace della nostra società?

Sono fiero e lieto di vivere in una società democratica come la nostra. Ma mi indigno di fronte alla volgarità e all'ovvietà del pensiero che offende l'uomo.

Di che cosa va più fiero del suo mestiere?

Sono 70 anni che lavoro. Adesso sono certo di aver lasciato una traccia nell'arte europea.

Quindi ritiene che lei potrà essere ricordato a lungo?

E' la presenza stessa dell'uomo nella vita degli altri uomini che determina la sua eternità. Siamo tutti un po' eterni.

Vorrebbe dire qualcosa a chi non apprezza la sua arte?

Non sono al mondo per soddisfare esteticamente quelli che guardano i quadri. Consiglio loro di andare a vedere indietro, invece di restare fermi dove sono.

Lei maestro il prossimo anno compirà 90 anni. Che cosa rappresenta per lei il trascorrere del tempo?

E' un po' come risalire verso la sorgente.

E lei ha qualche rimorso?

Il non realizzato. La vita è radicata in ognuno di noi, però a 90 anni posso pensare che il quotidiano riveste un'importanza sostanziale.

Ha mai avuto crisi professionali?

Sì, sono arrivato persino a rifiutare due inviti alla Biennale di Venezia perché non mi sentivo abbastanza pronto, maturo. Non mi piaceva quello che facevo: erano gli anni Cinquanta. Poi nel 1962 decisi di partecipare e mi dedicarono una sala personale con le mie opere plastiche.

Il suo lavoro l'ha più reso felice o ricco?

Di sicuro felice. Ricco no, ho di che vivere. Vede, un artista può essere anche poverissimo, basta che non sia povero di spirito.


Fabrizio Boschi

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