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Fucecchio esporta nel mondo la vera eco-couture

 

martedì 25 novembre 2014:

La vera eco-couture

Una collezione di abbigliamento di pelle che utilizza solo materiali provenienti dall'industria alimentare. Drome, marchio nato da una importante realtà del Made in Italy, dimostra come si possa fare moda mantenendo integri principi e idee. A raccontarne estetica e filosofia è Marianna Rosati, sua fondatrice e designer. Una gran bella storia

Di fare altro nella vita, invece della stilista, a Marianna Rosati non è mai venuto in mente.«In effetti», spiega la trentaquattrenne nativa di Pescia, in provincia di Pistoia, «c'è stato un periodo in cui dicevo di volere fare la ballerina, ma visto che non ho mai preso nemmeno una lezione, la cosa era evidentemente irrealizzabile». Naturale per lei, nata e cresciuta nell'azienda di famiglia, imboccare questa strada. «Mi ricordo dei pomeriggi passati in quelle stanzone tra le pelli e i tessuti mentre mia madre lavorava: per me era come essere a casa. Quando cresci immersa in una realtà simile, entrarne a far parte da adulta è una scelta spontanea, fatta senza nemmeno rifletterci: non ce n'è bisogno». La ditta che le ha fatto da "incubatrice" stilistica è Santacroce, uno dei nomi storici dell'abbigliamento in pelle in Italia: scuola migliore non ne poteva fare, e lei lo sa. «Ho avuto la fortuna di crescere in questo mondo, di impararne ritmi e segreti sin dall'inizio, e per di più ho incontrato persone che mi hanno dato fiducia, credendo in ciò che facevo: lo so di essere una privilegiata, è per questo che spero di non venire mai meno alla fiducia che tanti mi hanno dato». Dopo le prime esperienze arrivano gli studi al Polimoda di Firenze, poi il rientro in azienda, dove affianca i diversi direttori creativi, continuando a imparare tutte le potenzialità di quei materiali. 


Quando poi alla fine del 2008 Santacroce viene ceduta lei, assieme al team creativo "superstite", inizia a lavorare a un nuovo concetto di leather-wear, partendo da una domanda semplice: c'è un modo per trattarla e usarla come fosse un tessuto, magari come la seta? La risposta evidentemente è sì, e il risultato è Drome. Il debutto è nel 2009. «All'inizio era solo un piccolo progetto laterale, fatto utilizzando trattamenti e linee inedite in certi frangenti. Mi ricordo che avevamo proposto solo due colori, perché si trattava davvero di un esperimento. L'idea era piaciuta subito, e diversi store (quelli con l'occhio più allenato) l'avevano acquistata. Da lì, una volta capito che il mercato aveva recepito il nostro messaggio, siamo andati avanti trasformandola in una collezione completa, con 4 uscite l'anno». Altro punto di forza del marchio, spiega Marianna, è la sua identità estetica, precisa e ben definita sin dalla prima stagione. «L'appeal è minimale, rigoroso ed estremamente trasversale: quando disegno mi viene naturale pensare a chi fa il mio tipo di vita, quella in cui esci la mattina per andare al lavoro e difficilmente rientri a casa la sera per cambiarti prima di un evento più elegante. In questi casi servono pezzi che funzionino in entrambi i contesti e che non risultino mai fuori luogo, rimanendo rilassati e "cool". Ho sempre lavorato su Drome pensando che dovesse essere prima di tutto una collezione con un suo stile e una sua estetica, e poi una linea di abbigliamento in pelle».


Di limiti dunque, rispetto al lavorare con tessuti "normali", lei preferisce non darsene, per non perdere il reale significato di un lavoro così creativo. Quando però si tratta di etica e di scelte personali, Marianna non transige, ci sono confini che non intende varcare. Uno su tutti: le pelli usate nella collezione derivano esclusivamente dall'industria alimentare. In altre parole, nessun animale viene abbattuto solo per farne un loro pezzo, come avviene invece per la pellicceria. «È una cosa che ho deciso dopo avere visitato anni fa in Scandinavia degli allevamenti di pellicce: ho visto quello che succede, e non fa per me. Non credo sia necessario usare certi materiali per avere una bella collezione, e difatti noi lavoriamo quasi sempre con la nappa. Abbiamo stipulato degli accordi con le aziende del circuito alimentare per acquistare da loro le pelli, e siamo perciò legati al consumo di carne: per questo ci riforniamo in contemporanea in Italia Spagna e Turchia. Per quanto riguarda i rettili invece andiamo in Thailandia, ma lì il discorso è più complesso: ci sono popolazioni che storicamente si nutrono di serpenti come il pitone, perché fa parte della loro dieta, ma oggigiorno sono davvero pochi a farlo, per questo certe pelli sono molto rare, e di conseguenza care». Questo sì che è chiudere il cerchio, viene da dire. «Non è così difficile rispettare certe regole, si tratta di credere davvero nei materiali che hai deciso di usare: io so che anche così posso raggiungere il risultato a cui miro; e poi la mia donna non si identifica, stilisticamente, in quei materiali che ho deciso di non usare, e questo mi aiuta». Il mercato sembra darle ragione, e questo di sicuro fa piacere. «Oggi siamo molto ben distribuiti, e ne sono felice. Siamo presenti (e bene) in tutta l'Europa, Italia e Scandinavia in particolare; anche la Russia, nonostante il periodo non favorevole lì, è un buon mercato. E poi c'è il Giappone, dove siamo davvero amati, nonostante il clima, soprattutto d'estate, non ci sia particolarmente propizio alla pelle. Adesso ci stiamo avvicinando alla Cina: per ora siamo "entrati" attraverso città come Hong Kong e Shangai, che sono un po' le "porte" verso quei mercati, e  stiamo pianificando lo sbarco negli Stati Uniti.Ci teniamo moltissimo, e vogliamo fare le cose per bene». C'è da scommetterci che ci riuscirà.


fonte: Serena Tibaldi - d.repubblica.it

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