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I LUOGHI, LE STORIE: IL SEICENTO SCONOSCIUTO

 

mercoledì 7 gennaio 2015:
I LUOGHI, LE STORIE di Riccardo Cardellicchio
Il Seicento sconosciuto

Frammenti di una storia, quella di Fucecchio, per eliminare dubbi che vagolano tra la gente. Frammenti raccontati, nella lunga intervista concessami, da Alberto Malvolti, storico apprezzato a livello toscano, presidente della Fondazione Montanelli Bassi. La propongo un po’ alla volta. Questa è la quinta puntata.

La storia, per Fucecchio, si fa avara nel Sei-Settecento. Assistiamo, soprattutto, a faide, i canonici della Collegiata in primo piano. Non v i sono, a ben vedere, figure che spiccano. O è soltanto un’impressione? Perde anche molte opere importanti. Svendute.
“Il Seicento è un altro secolo “oscuro”, poco studiato, ma che varrebbe la pena di indagare. Durante questo secolo  Fucecchio è in grande crescita, a dispetto delle pestilenze e della scarsa autonomia politica. Basta pensare ai grandi palazzi costruiti in questo periodo, alle ville che a poco a poco cominciano a essere disseminate nelle campagne delle Cerbaie. E in tutta la campagna c’è una ripresa delle coltivazioni, un graduale miglioramento dell’economia che raggiungerà un notevole sviluppo intorno alla metà del Settecento: Fucecchio, era, ad esempio, uno dei più importanti centri di produzione di bozzoli da seta della regione. Ma c’erano anche numerose fornaci da stoviglie, attività tessili (lino e canapa), oltre naturalmente ai prodotti delle campagne, che si erano moltiplicati con la ricolonizzazione e il ripopolamento delle Cerbaie. Qui il Comune possedeva numerosi poderi dati in affitto a contadini che pagavano canoni in natura (grano). Grazie a questi proventi il Comune imponeva ben poche tasse a vantaggio soprattutto dei più ricchi, che potevano così costruirsi palazzi nel castello e ville in campagna”.
l’Ottocento, lo nobilita la figura di Giuseppe Montanelli, anche se non tutti i fucecchiesi l’approvano. Ma Fucecchio cambia aspetto sul piano economico…  S’impoverisce…
“Un magistrato fiorentino nel 1835 descrisse Fucecchio come paese già ricco, ma ora disgraziatissimo. In realtà sembra proprio che a iniziare dal primo decennio dell’Ottocento Fucecchio sia caduto in una nuova grave crisi, dovuta all’interruzione dei commerci anche a causa delle guerre napoleoniche, ma anche per la concorrenza di nuovi centri di produzione e di commercio. A quanto pare i Fucecchiesi non erano dotati di particolari qualità imprenditoriali e preferivano vivere di rendita grazie alle proprietà terriere che avevano accumulato. Il paese era pieno di mendicanti e probabilmente Giuseppe Montanelli rimase colpito dalle miserie che aveva incontrato nel suo paese natale. Ecco da dove veniva, almeno in parte, la sua sensibilità sociale e l'esigenza di riscatto per i ceti più poveri”.
L’Ottocento decreta  la fine della compagnie religiose, importanti anche sotto il profilo culturale. Si racconta che ve ne sia stata una composta soltanto di donne. E’ vero? E per cosa si qualificò?
“La Compagnia delle donne, sorta nei primi anni del Cinquecento, sembra abbia avuto vita breve. Ne facevano parte alcune donne di buona famiglia, maritate a esponenti del ceto dirigente fucecchiese. Si trattava quindi di una confraternita ricca che poté finanziare anche opere d’arte, come la grande pala d’altare di Giovanni Larciani, una delle opere più importanti conservata oggi nel museo cittadino”.
Nella storia di Fucecchio, troviamo quattro santi - San Candido, San Pietro Igneo, Beata Berta, San Teofilo – snobbati dai credenti. Eppure almeno tre (tranne San Candido, il patrono) hanno vissuto a Fucecchio e  qui hanno lasciato un’impronta… almeno si credeva… Forse, bisogna dirlo, più sfumata è la Beata Berta, appartenente alla famiglia dei conti Cadolingi, ma San Pietro Igneo e  San Teofilo…
“Sono santi di epoche e con storie molto diverse. In fondo nessuno di essi è veramente fucecchiese, nel senso che è nato a Fucecchio, anche se hanno avuto a che fare con la nostra città. Solo un cenno. La Beata Berta è un mistero da chiarire, anche perché in realtà sono due le donne di nome Berta appartenute all’entourage cadolingio e menzionate come sante. Ma prima di dire qualcosa di sicuro vorrei approfondire queste due figure, perché i documenti noti sono davvero pochi. Ben noto e documentato è invece Pietro Igneo, titolare del nostro ospedale, che ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende politiche dell’XI secolo e si impegnò nella lotta per la riforma della chiesa, superando la prova del fuoco davanti all’abbazia di Settimo. Fu abate a Fucecchio e amico dei Cadolingi, in particolare del conte Guglielmo Bulgaro, fondatore dell’ospedale di Rosaia. San Teofilo, vissuto tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, appartiene invece al modello di santità che si sviluppò dopo il concilio di Trento: forte impegno nella predicazione, zelo caritatevole, esaltazione della povertà e servizio per i più deboli, oltre alle capacità taumaturgiche per le quali fu particolarmente venerato a Fucecchio. Un santo da riscoprire che forse piacerebbe all’attuale pontefice”.
E’, vero, sono quattro santi, che hanno avuto a che fare con Fucecchio, ma non sono fucecchiesi. Allora bisogna dire che l’unica santa locale doc – Cristiana Menabuoi – ce l’hanno presa i santacrocesi.
“L’affermazione è discutibile. Quasi certamente quando Oringa Menabuoi – divenuta poi Santa Cristiana – nacque, Santa Croce non esisteva ancora, essendo stata fondata subito dopo la metà del Duecento. Inoltre i Menabuoi avevano beni nel territorio fucecchiese, come a suo tempo dimostrò Egisto Lotti, ma da qui a considerare Oringa fucecchiese ce ne corre. La vita della santa è tutta incentrata nel castello della Santa Croce, dove fondò la sua “casa” (poi monastero di Santa Cristiana) e col Comune santacrocese ebbe strette relazioni. Dunque dire che Cristiana è fucecchiese sarebbe una forzatura, tanto più che la Santa è stata sempre venerata a Santa Croce”.


(5, continua)

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