SAN MINIATO, NO ALLA TERZA LAPIDE

sabato 18 aprile 2015:
La strage del duomo non dà tregua a San Miniato. Il sindaco Vittorio Gabbanini ci ha messo del suo, decidendo di rimuovere le due lapide (una l’attribuisce ai tedeschi; l’altra, a fuoco amico) per metterne una terza, al loro posto. Su questa terza lapide, dice la sua Fabrizio Mandorlini, giornalista , editore, per quindi anni direttore della diocesi di San Miniato, segretario del Ppi, fondatore del Pd e renziano.

Se fosse collocata, come dichiarato dal sindaco e dalla giunta comunale, sul municipio una "terza lapide" con i nomi di coloro che persero la vita il 22 luglio 1944, credo che San Miniato passerebbe alla storia. Dall'essere la prima città ad avere due lapidi sul municipio con due versioni diverse (ora rimosse) ad avere due lapidi uguali, una in Cattedrale e una sulla facciata del Comune. Ma al di là delle considerazioni esterne, che sono le meno significative, si collocherebbe una lapide che non sarebbe "figlia di nessuno" e di cui in città nessuno sentirebbe l'appartenenza perché calata dall'alto e che non avrebbe neppure il merito di creare una memoria "unica" e condivisa. Anzi.
Nel 1994 fu collocata nella cappella del Santissimo Sacramento della Cattedrale una lapide che riporta l'elenco di coloro che persero la vita in duomo per iniziativa dei parenti delle vittime, della Misericordia di San Miniato e del Capitolo della Cattedrale. E' quello il giusto luogo della memoria dove ricordare le vittime.
Credo anche che pensare di affidare (come alcuni prospettano) un testo di una eventuale terza lapide  a nomi illustri del panorama italiano che nulla aggiungerebbero alla storia e alle vicende della nostra città. Non dimentichiamoci che la lapide di Russo del 1954 fu "censurata" in alcune frasi e che quella dettata da Scalfaro è alquanto "bruttina" nella forma. La terza lapide non ha dunque motivo di essere messa. Per questo motivo ho scritto al segretario del Pd di pronunciarsi nei suoi organismi contro questa eventualità e alla giunta e al sindaco Vittorio Gabbanini di fare un passo indietro.

Fabrizio Mandorlini