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I LUOGHI, LE STORIE - Il santo di Fucecchio

 

martedì 5 aprile 2016:

di Riccardo Cardellicchio

 

Il santo di Fuceccchio

 

 

San Teofilo da Corte, un tempo definito il santo di Fucecchio, viene rivalutato. C’è, insomma, la voglia di rimetterlo sugli altari, con tutti gli onori. Lo dimostrano le iniziative prese. Tra di esse, la conferenza e il libretto dello storico Alberto Malvolti, e la presenza, a Fucecchio,.di una delegazione di Corte (Corsica), località d’origine del santo.

 

Malvolti,tu ami definire Teofilo santo inattuale. Perché?

Di apparente inattualità. Sostengo, infatti, che San Teofilo è forse più vicino a noi di quel che sembra. I pilastri su cui si fonda la sua santità sono il ritorno all’ideale di povertà proprio del messaggio originario di San Francesco; la carità;  l’osservanza di una rigorosa disciplina nell’ambito del ritiro. Si tratta di ideali poco compatibili con i modelli di vita prevalenti nel mondo contemporaneo, basati piuttosto sul successo, sull’accumulo dei beni, su una libertà individuale che non ammette limiti. Eppure, per ciò che riguarda la povertà, oggi che abbiamo un papa che ha scelto il nome Francesco, che ha riproposto il tema di una Chiesa più vicina ai poveri e che vuole un pontificato più dimesso anche negli aspetti esteriori, probabilmente la testimonianza di Teofilo ci apparirà più vicina. Quanto alla carità, l’impegno di Teofilo, che usciva spesso dal suo ritiro per percorrere decine di chilometri a servizio degli altri (poveri, ammalati, moribondi), ci appare più che mai significativo in una società in crisi, in cui i bisogni si moltiplicano quotidianamente. Più difficile è infine accettare oggi la disciplina, nel senso di una sottomissione a regole che impongano limiti alla libertà individuale. C’è però da tenere presente che nelle comunità francescane dei ritiri si entrava volontariamente e volontariamente si restava. Quindi la disciplina era conseguenza di una scelta. Possiamo chiederci allora se anche oggi l’accettazione e soprattutto il rispetto di regole condivise non sia alla base di una società capace di mettere al centro i valori della convivenza, piuttosto che gli interessi e le pulsioni individuali. Sono spunti di riflessione che ci fanno apparire Teofilo più vicino e attuale di quel che sembrerebbe a prima vista.

 

Teofilo, filoso e teologo, viene inviato a Fucecchio per realizzarvi il primo ritiro. Perché Fucecchio? Forse perché c’era da scuotere un ambiente riottoso? E perché lui?

In Toscana c’erano già altri ritiri, Fucecchio fu scelto, probabilmente, perché il convento doveva essere “riformato”, ossia ricondotto a regole di vita più vicine all’ideale francescano originario. Del resto l’opposizione che Teofilo incontrò inizialmente la dice lunga sulla situazione della comunità francescana fucecchiese in quel periodo: evidentemente non si voleva cambiare stile di vita aderendo alle nuove regole, più austere imposte dal ritiro.

 

E che senso aveva un ritiro?

I ritiri furono fondati nella seconda metà dei Seicento per recuperare gli ideali originari di San Francesco: povertà, carità, vita comune improntata a regole austere. Evidentemente il messaggio rivoluzionario di Francesco era stato in molti casi tradito. Non è certamente una novità: nella Chiesa si sono da sempre manifestate da un lato tendenze a dimenticare i contenuti più forti del messaggio evangelico, dall’altro spinte a recuperarne il significato più profondo. Il ritiro era un modello di vita comune in cui la regola francescana doveva essere osservata nel modo più radicale.

   

Un ritiro che aveva competenza su una zona vasta, nei confini, però, della diocesi di San Miniato, nata da poco contro il parere della cristianità locale. Vuoi spiegare com’era allora la chiesa locale e perché sosteneva di meritare la diocesi?

A Fucecchio, quando vi arrivò Teofilo, nel 1736, c’erano ben quattro conventi o monasteri: oltre a quello della Vergine delle Cinque Via, c’era un altro monastero francescano, quello di San Salvatore (dei conventuali), quello delle Clarisse di Sant’Andrea (dove oggi sorge l’ospedale), infine quello di San Romualdo, sempre femminile, situato presso Corso Matteotti (nel luogo popolarmente detto “La loggetta”). E oltre alle chiese officiate dal clero secolare (l’antica pieve di San Giovanni e la chiesa delle Vedute), c’erano numerose e vivacissime confraternite a cui erano in pratica iscritti quasi tutti gli abitanti del paese, spesso impegnate a competere l’una con l’altra nell’assistenza ma anche nell’abbellimento dei rispettivi oratori o altari. Il clero fucecchiese godeva di una notevole autonomia, non essendo sottoposto ad alcun vescovo, ma solo alla Badessa del monastero di S. Chiara di Lucca (la famosa “Episcopessa”). Si capisce perciò la contrarietà alla costituzione di una diocesi a San Miniato che avrebbe eliminato i privilegi dell’Episcopessa e quindi anche quelli del clero fucecchiese.

 

Fucecchio ha avuto un altro santo – San Pietro Igneo – che, al di là dell’intitolazione dell’ospedale, non è che abbia avuto, e abbia, gran seguito, grande devozione. Di chi la colpa?

Forse bisognerebbe dire di tutti i Fucecchiesi, perché alla fine il culto dei santi è uno di quegli aspetti che formano un sentire comune, il senso di un’appartenenza e di un’identità che a Fucecchio non è stata mai molto forte: qui è più facile dividersi e competere che lavorare per un fine comune. Naturalmente bisogna anche attribuire qualche responsabilità al clero, che forse sull’argomento si è un po’ distratto. Mi sembra che ultimamente sia stato però fatto qualche passo per invertire la tendenza.

 

Torniamo a San Teofilo. Ci sono documenti che provano la sua frequentazione, a Cerreto Guidi, di Santi Saccenti, poeta satirico bernesco.  Verrebbe da dire il diavolo e l’acqua santa insieme. O non era così? E’ certo, comunque, che i Saccenti scrissero memorie su Teofilo, ma sembra che non si trovino più. Come le quarantaquattro lettere lasciate dal santo. Che si trovassero tra quanto portato via dai francescani quando lasciarono, ora sono quasi vent’anni, il convento? Non sono pochi, però, quelli che ne dubitano. Ma sarebbe importante ritrovarli, questi documenti. Come fare?

In teoria sarebbe semplice: basterebbe andare a vedere l’archivio e la biblioteca del convento che, a quanto sembra versano in condizioni piuttosto preoccupanti perché in alcuni ambienti piove e non è garantita la sicurezza delle strutture. Capisco la difficoltà del momento: è difficile trovare oggi le risorse per mantenere edifici come questo, ma le carte, i libri, i documenti potrebbero essere riuniti senza particolari difficoltà negli spazi più sicuri ed essere censiti. Vedremo di aprire un contatto diretto con i Francescani per verificare se i documenti più importanti sono stati trasferiti a Firenze. Tra questi dovrebbero trovarsi sia le lettere di Teofilo, sia le Memorie di Casa Saccenti di Cerreto dove sono raccontati i rapporti del Santo con il poeta Giovan Santi Saccenti.

 

Non  ti stanchi di fare un appello, rivolto a tutti, per salvare il complesso della Vergine, riferendoti alla sua storia di secoli, partendo dal romitorio e dall’oratorio della Madonna delle cinque vie. Secondo te, come potrebbe avvenire?

Il primo nodo da sciogliere è quello della proprietà. Il convento è vuoto ma continua a essere di proprietà dei Francescani. Bisogna dire però che l’edificio fu costruito con le elemosine dei Fucecchiesi e che una parte del convento (il chiostro e la chiesa) appartengono al Comune. Dunque la comunità locale ha il dovere di interessarsi dei destini di questo grande spazio che a mio parere dovrebbe continuare a svolgere una funzione nell’interesse comune. 

 

Riccardo Cardellicchio

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